Dalla Carta di Firenze al PNRR: lo ‘statuto’ dei giardini storici e l’invito alla catalogazione

Nel 1981 la Carta di Firenze dei giardini storici – nelle due versioni redatte per l’occasione – ha riconosciuto ai giardini storici una ben precisa patente nell’ambito del patrimonio culturale. Richiamandosi ai principi ispiratori della Carta di Venezia, il giardino viene considerato un “monumento” (art. 1), la cui componente è in prevalenza vegetale, dunque “vivente”, e in quanto tale soggetto al deterioramento e al rinnovamento (art. 2).
A metà strada fra natura e artificio, il giardino “presenta un interesse pubblico” (art. 1) ed è risultato di un equilibrio, “nell’andamento ciclico delle stagioni, fra lo sviluppo e il deperimento della natura e la volontà d’arte e d’artificio che tende a conservarne perennemente lo stato” (art. 2). È al tempo stesso “testimonianza di una cultura, di uno stile, di un’epoca” (art. 5).
Nella versione italiana, il giardino è “un insieme polimaterico, progettato dall’uomo, realizzato in parte determinante con materiale vivente, che insiste su (e modifica) un territorio antropico, un contesto naturale”. Al pari di ogni altra risorsa, “costituisce un unicum, limitato, peribile, irrepetibile, ha un proprio processo di sviluppo, una propria storia (nascita, crescita, mutazione, degrado) che riflette la società e le culture che l’hanno ideato, costruito, usato o che, comunque, sono entrate in relazione con esso” (art. 1). Si tratta di un bene che è al tempo stesso monumento e documento, strumento di conoscenza.
Una volta riconosciutane la rilevanza, entrambe le Carte sollecitano politiche di salvaguardia e adeguate azioni conoscitive imperniate sull’identificazione e inventariazione, quali attività preliminari e prioritarie.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, prevedendo uno specifico investimento dedicato ai parchi e giardini storici, ribadisce lo statuto di questi beni, considerati oggi anche alla luce delle profonde trasformazioni che hanno interessato l’ambiente, il paesaggio e la società nel passaggio al nuovo millennio. Al giardino è stata infatti assegnata una patente ben precisa laddove si precisa che esso concorre al rafforzamento dell’identità dei luoghi; al miglioramento della qualità paesaggistica, costituendo un fattore chiave nei processi di rigenerazione e rinnovamento urbano; al miglioramento della qualità della vita e del benessere psicofisico dei cittadini; alla diffusione di una rinnovata sensibilità ambientale e paesaggistica; allo sviluppo di conoscenze scientifiche, tecniche, botaniche sperimentate e sedimentate nei secoli; allo sviluppo di quelle funzioni che hanno dirette e positive ricadute ambientali (riduzione dell’inquinamento ambientale, regolazione del microclima, generazione di ossigeno, tutela della biodiversità, etc.); alla creazione di nuove modalità di fruizione culturale e turistica, con significative ricadute economiche e occupazionali.

La Carta Icomos-Ifla, all’art. 9, precisa che “la salvaguardia dei giardini storici esige che siano identificati e inventariati”; quella italiana, nel ribadire che “per tutelare e conservare bisogna conoscere”, sottolinea che “il giardino va analiticamente studiato in tutte le sue componenti (architettoniche, vegetali, idriche, geologiche, topografiche, ambientali, etc.) e attraverso documenti e fonti storiche e letterarie, e attraverso rilievi topografici e catastali antichi, nonché ogni altra possibile fonte iconografica, attraverso la fotointerpretazione e – ove necessario – attraverso l’indagine archeologica diretta” (art. 4).